2005 nr.3

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La storia siamo noi

- Mercoledì 13 luglio 2005, inizio sera.

La storia siamo noi.
Nessuno si senta offeso,
siamo noi questo prato di aghi sotti il cielo.
 La storia siamo noi, padri e figli
Nessuno si  senta escluso!

Sono le parole della canzone di Francesco De Gregori che mi girano in testa mentre guardo le Tre Cime di Lavaredo seduto ad un tavolo del rifugio Locatelli, in questo caldo luglio dell'anno di grazia 2005. È come ritornare ad undici anni fa,  al luglio del 1994: sono sempre con i Montagnin,  ma i compagni di viaggio sono cambiati. Di quel gruppo di allora siamo presenti qui solamente in tre. Lello, con la paura del vuoto di sempre, due o tre chili in meno (compreso i capelli), una nuova e fiammante giacca a vento “Extreme”. Chissà che fine avrà fatto quello smisurato zaino da 60 litri ed oltre della Bergaus che tentava invano di farsi aiutare a riempire o di vendere al malcapitato Bruno! Gira con il cellulare che gli trilla di  continuo e fra una musichetta e l'altra soffia fra i denti qualcosa come un  “chi me lo ha fatto fare”. Igor, il nostro direttore, che di vecchio ha conservato e si porta gelosamente dietro il carattere dolce, la sete di birra, la consueta “generosità ed altruismo”, mentre di nuovo sfoggia tutto un guardaroba tecnico, una camera digitale Sony, ed un amore, dolce e rassegnato, che nessuno immaginerà mai di quale colpa possa essersi macchiato per portare questa dolorosa croce. Il terzo sono io Franco. per gli amici Gian, che di vecchio ho nuovamente la barba, solo un po' più bianca, i kg sono saliti a 90 ed in totale fanno 100 con lo zaino!  Questa volta non sono l'organizzatore, (retrocesso a vice) ma mi porto dietro le solite cartine e la conoscenza dei luoghi, e sparse nei meandri della memoria i nomi delle montagne, ma non proprio tutte, e le pagine di gloria dei nostri alpini durante la Grande Guerra. Di nuovo, oltre la fotocamera digitale, anche un maggior timore per gli stretti sentieri in quota ed un aumentata idiosincrasia per le salite troppo ripide. Anche una certa rassegnazione al destino che mi vuole, ogni tre o quattro anni, costretto ad una settimana completa di "full immersion" nel mondo Montagnino e con ricco contorno di frizzi e di lazzi dell'improbabile e certamente unico popolo Montagnino appunto. Gli altri quattordici trekker (in totale fanno 17, come avrete facilmente capito) sono nuovi per queste lande ma tutte vecchie volpi, rotte a mille avventure, grandi camminatori e raffinati spacca b…. ma di loro parlerò in seguito. Così siamo tutti qua fuori ad aspettare che le Tre Cime diventino rosse per il sole morente e, nell'attesa, cerchiamo invano un punto in cui il telefonino prenda. Recito la nostra preghiera con Elisa ed Angelo davanti alla Cappella degli Alpini. Finalmente arriva l'enrosadira ad accendere di sangue le pareti più famose al mondo. Poi si alza la brezza della sera, fredda, vigliacca. Qualcuno dei più intraprendenti si imbacucca e, calzati gli scarponi, si spinge a spiare nelle gallerie di guerra del monte Paterno. La notte è un incubo di rumori e di dodecafonie fatte con la gola, la bocca e chissà con che altro!

- Giovedì 14 luglio, poco dopo l'alba.

…. la storia siamo noi, attenzione,
nessuno si senta escluso.
La storia siamo noi,
siamo noi che scriviamo le lettere,
siamo noi che abbiamo tutto da vincere
e tutto da perdere...

La mattina porta un bel sole rassicurante che smorza un po' il freddo cane delle prime ore. La storia, sempre quella, ci costringe ad una foto di gruppo davanti alle Cime, come undici anni fa. Questa volta incorporiamo un gruppo di Giapponesi e sarà Hugo, lo straordinario gestore del Locatelli a scattarcela. Ieri sera stava li davanti alle pareti di sangue ad aspettare come Cartier­ Bresson l'attimo preciso per riprenderle. Gli ho chiesto quante ne avesse fatte. Mi risponde: " Più di 3000, in cinque anni “ Ma allora perché continua a riprenderle!  "Perché quella che farò domani sarà migliore di quella che ho fatto oggi”. Hugo ha un cognome impossibile, abita a Sesto e dirige con sua moglie e 20 persone questo Rifugio che se non fosse a 2440 metri lo potresti scambiare per un albergo a quattro stelle, per via del servizio dall'efficienza inappuntabile e velocissima, e per il cibo, abbondante, freschissimo, molto vario. con amplissima scelta. Partiamo per un giro ad anello che ci porta lungo le pendici del M. Paterno dove. sulla croce di vetta immagino sia scolpito l'epitaffio di Sepp Inerkofel che qui chiuse la sua vita colpito da una palla Italiana nel  1915. Passiamo sopra un laghetto anonimo. davanti a una montagna che non so. Forse sono i Rondoi, oppure i Baranci. chissà. Angelo, il nostro caro Angelo, dice che il rifugio Pian di Cengia è una bomboniera. Lello e Cesare trovano lo strudel troppo buono per essere vero. Passa una intiera Compagnia di Alpini diretta al rifugio Comici. Sono tutti ufficiali che frequentano un corso di addestramento in montagna. Sono tutti giovani, tutti ragazzi con solo qualche ragazza: e probabilmente anche attraenti a giudicare dagli sguardi delle nostre compagne. Eva e Nadia in testa. Al Zsigmondy-Comici il sentiero sulla pietraia della forcella della Croda dei Toni mi pare come un incubo grigio, erto, pieno di trabocchetti, di una pendenza vergognosa. Igor parte deciso con il gruppo, io decido di passare per un’altra forcella, percorso decisamente piú umano, meno dislivello: è quello che abbiamo fatto la prima volta. Eva e Nadia vengono con me. Angelo non mi abbandona, chissà se toccato dalla Madonnina Rossoblu oppure perché mi ama, chi lo sa! Arriviamo per primi, aspettiamo il resto del gruppo, poi il solito panino sotto un sole feroce. Ripartiamo per la forcella Lavaredo: Cesare ed Angelo. per sgranchirsi un ci precedono su per una cengia, scoprono ed esplorano un intiero villaggio dentro la montagna. scavato dagli Italiani agli inizi della grande Guerra. A valle una stele ricorda dodici alpini travolti da un nugolo di valanghe. In giro non c'è nessuno solo noi: alcune vacche: rocce e pietre. tantissime pietre. Non un goccio d'acqua. Alla Forcella Lavaredo torniamo nel casino della gente, con turisti vocianti e vestiti da spiaggia con le scarpe da barca. La notte in rifugio passa fra minor russamenti. Forse mi sto abituando.

-Venerdì 15 luglio, mattino fatto.

Torniamo alle auto lasciate al parcheggio dal Rif. Auronzo, alla fine della strada a pedaggio. Cambio di vestiti, alleggerimento degli zaini e partenza per i Cadini di Misurina verso il Rifugio dei fratelli Fonda Savio. Di mezzo, fra noi e i Cadini il sentiero attrezzato Bonacossa, l'incubo di Lello, mia viva preoccupazione, preciso incarico di guide alpinistico/spirituali ai due fidi compagni Cesare ed Angelo. Bonacossa. Bonacossa, chi era costui? Un Conte, trovo scritto sulla targa commemorativa del CAI di Trieste apposta sul muro del rifugio che ricorda il sacrificio dei fratelli Fonda. Va bene, un Conte, ma perché mai gli hanno intitolato un sentiero attrezzato con corde fisse e scalette nel cuore delle dolomiti'? Mistero, che, per tornare al sentiero non aiuta certo alcuni dei baldi Montagnini ad essere del tutto tranquilli: come a dire chi se ne f...... del Bonacossa. Igor inizia con piglio deciso, un passo dietro l'altro, affronta corde e scalette con tranquilla sicurezza, sollecita Anna a stargli dietro, incita il gruppo a seguirlo con cautela poi gira un angolo del sentiero e si defila. Angelina lo segue come un'ombra, anzi sta nella sua ombra, un po' delusa dal fatto che l'Angelo sia dietro di me, a custodire la mia salvazione. Il Gino, che indossa con la consueta disinvoltura il solito ( o è proprie lo stesso'?) pantalone di velluto a coste e trasporta quel gran bello zaino che gli regalò Garibaldi giovinetto all’epoca della battaglia per la liberazione di Montevideo si ferma a scattare con la sua “Nikonrellexchepesa”. imitato da Elisailnostropresidente" che non smette di fare "Oh, che meraviglia, quando le montagne fanno oh  e tutti gli altri fanno bho, soprattutto quando qualcuno necessiterebbe diretta assistenza! Storia a sé per le coppie guidate da Piero e Gerardo, che gli pareva non solo facile, ma proprio roba da poco. con Rosemarì che parla in tedesco con due sposini giapponesi che ci seguivano guardandosi in giro spaesati e alla vana ricerca della boutique di via Condotti. Ma che cas….pita di autobus hanno preso quelli! La mia dolce Franchina (dolce è dolce, non si scappa, e mia perché e la segretaria, paziente ed efficiente, della “mia" commissione giornalino) non si scompone per nulla e passa i punti critici con la consueta eleganza.. Delle tre grazie residue (in che senso residue'? Ma perché non ne ho parlato prima, s'intende!) la Nadia, L'Angiola e la Eva non ho notizie. Il loro andare sarà stato di certo facile e sicuro, che ben conosco la lor forza e il loro animo. Trattati gli elementi di contorno non mi resta che affrontare le gesta dei protagonisti. Cesaron de' Bisognosi (che Lello bisognoso d'aiuto è di certo) esce di gran botto dalla commedia dell'arte e passa da Goldoni a Bonatti sul K2 con grande disinvoltura. Non porta sulle spalle bombole di ossigeno, ma si adopera alla sicurezza del gruppo, aiuta, incoraggia, sostiene risolve. Si comporta da vecchio leader esperto, d'avvero grande!

 Angelo.
prenditi cura di noi.
Lui non sa vedere al di la
di quello che .

Povero il nostro caro Angelo! Va su e giù per la montagna agganciando moschettoni, posando i piedi degli insicuri sugli appigli, scivolando sul fango e tirando il cordino del mio imbraco per farmi sicurezza. lo e Lello sembriamo due sopravvissuti di Lost della Fox sulla spiaggia dell'isola misteriosa, che aspettano di essere salvati da qualche spirito benigno. Poi l'ultima salita, l'incontro col sentiero che proviene dal Cadin di Rimbianco, la sosta per il pranzo, il sole feroce. E' tutto un fiorire di ombrelli aperti per fare un po' d'ombra. La tensione e la stanchezza mi impediscono di mangiare,. Salivazione azzerata, bocca impastata, senso di nausea, mi salva un arancia di Gerardo. Rannuvola. Ripartiamo per il rifugio Fonda Savio. Ancora salita, ancora corde fisse  ancora pietre, tantissime pietre e un po' di neve che mangio per rinfrescarmi. Passa una coppia di americani. Angelo gli parla. sembra Berlusconi, è tutto un sorriso. All’arrivo al rifugio, un nido d'aquila fra le rocce dei Cadini, bacio la terra come faceva Wojtyla e mi stravacco nella bomboniera. Quella della bomboniera e una storia dolorosa che merita di essere raccontata. Era così anche l’altra volta, e non è cambiata. Una baracca costruita; fra gruppo elettrogeno e la teleferica, dodici posti su tavolaccio, sovrapposi con arrampicata obbligatoria per il piano superiore, un materassino sottile ed un piumotto imbottito a quadretti bianchi e rossi. Faccio la solita scena del grasso individuo handicappato con prostata marcia finché commuovo Nadia a cedermi un posto per dormire di sotto. Elisa, claustrofoba dichiarata e arrabbiata come un riccio dorme per terra. Gli altri si fanno carrucolare di sopra e tentano di farsene una ragione ed anche un letto. La signora del rifugio mi riconosce dopo tutti questi anni. Gli sono rimasto impresso, forse per la barba, forse per il mio fascino. chissà! Pranziamo, giochiamo a Burraco, paghiamo quasi 2 euro per mezzo litro d'acqua minerale e poi andiamo a ....tavolaccio. Cesare illumina a giorno la bomboniera o il gallinaio o il loculo, con colpi di flash fotografici. Ridiamo fino alle lacrime. Non riusciamo a dormire. Alla bisogna mamma Angiola ci racconta la favola del Bonacossa. Chiudiamo gli occhioni. A tenerci svegli ci pensano i versacci notturni di chicchessia. Seguono lampi, tuoni, fulmini e scrosci d'acqua. Poi il temporale si allontana. Alle due di notte scavalco l'Elisa ed esco nella notte per fare pipì. Col cavolo che raggiungo il bagno del rifugio, fra una saetta e l'altra. La faccio lì, appena fuori, appeso, per non cadere, con una mano alla corda per stendere i panni. Un sottile rivolo d'acqua mi cola per la schiena ed aggiunge un brivido freddo ad una notte che potrei situare tranquillamente in Transilvania. Ha da passà a nuttata.

-Sabato 16 luglio, mattina presto.

.. e poi la gente, perché e la gente
che fa la storia.
quando si tratta di scegliere di andare,
te la ritrovi tutta con gli occhi aperti
che sanno benissimo cosa fare:
quelli che hanno letto un milione di libri
e quelli che non sanno neanche parlare .

La decisione è presa, Lello ed io non faremo il sentiero Durissini, tanto lo abbiamo già fatto e lo lasciamo a chi non lo conosce. Tutto quel saliscendi, anche se in ambiente grandioso e selvaggio non ci sconfinfera. Raggiungeremo direttamente l'Hotel Cristallo a Fedara Vecchia mediante l'itinerario di discesa che ci porterà velocemente a Misurina e poi lungo la statale 48 bis delle Dolomiti. Discesa senza storia, tra rocce e praterie con lo sfondo della Croda Rossa d'Ampezzo, Il M. Cristallo, il Piz Popena, il maestoso Sorapis ed il gruppo delle Marmarole. Recuperiamo l'auto, breve corsa ad acquistare il Secolo XIX per leggere delle disavventure del Genoa, un aperitivo al bar del Cristallo e poi la lunga attesa degli altri compagni.  Il telefonino ci avverte di un disguido tecnico         (i Nostri sono andati a sinistra quando dovevano andare a destra) in virtù del quale sono finiti un po' di Km più giù, verso Auronzo.  Qualche trasbordo in auto, poi un bel pranzo per concludere le nostre fatiche. Il racconto della bella traversata dei Cadini di Misurina e dello spettacolare Sentiero Durissini viene fuori a tratti, tra una portata e l'altra. Spettacolare, non eccessivamente impegnativo, divertente. Prima di partire faccio un giro per il prato che porta all'attacco del sentiero che sale al Rifugio Vandelli al Sorapis, accompagnato da Eva e Nadia, a cui racconto dell'altra volta quando per trovare il gestore del Rifugio ho dovuto farmi aiutare dai Carabinieri. Scattiamo qualche foto per fissare tutte quelle sfumature di verde. Partiamo per Genova verso il tardo pomeriggio, senza problemi. Sono un stufo di corde e catene, sentierini, arrampicamenti e pietre, pietre ed ancora pietre. La prossima volta mi piacerebbe ritornare alla GEA ed all'Appennino, con tanti alberi, bei prati verdi, e freschi ruscelli. Salud a tutti.

                                                                    Gianfranco Robba

                                                                                           

9 - 10 - 11 September : aqua-trek 2005

Vigilia: la serata di giovedì 8 è decisamente scoraggiante: zaino pronto, pioggia a catinelle con allerta meteo sul Piemonte, meta del nostro trekking! La mattina del 9 non piove... la partenza avviene. Puntuale' Strada facendo, dentro la nostra "Lupo" tutta al femminile (Gianna, Rosi, Alessandra ed io). si fantastica sulle possibilità che si presenteranno nei prossimi tre giorni, si organizzano percorsi alternativi, si ride come matte per contrastare la tristezza della pioggia che, inesorabile, ricomincia a cadere. Arriviamo a San Domenico e pioviggina dolcemente; noi confidiamo molto sulla ben nota inimicizia tra il nostro capogita Igor e la pioggia. Invece no: il cielo si apre un poco, il percorso non è su sentiero ma su una sterrata, comunque agibile. il rifugio dell'Alpe Veglia si trova a solo un'ora e mezzo di cammino: vuol dire che mo­dificheremo solo il programma del pome­riggio….. Si parte... ed in premio abbiamo squarci di cielo quasi azzurro che ci permettono un po' di visibilità sulla valle verdissima ed echeg­giante del suono dei molti ruscelli che scendono dalle sue pendici che assumono poi l'aspetto di una forra mentre i torrenti diventano sempre più impetuosi. Superato il necessario dislivello, si apre davanti a noi la vista dell'Alpe Veglia. Sorpresa! Nella mia ignoranza credevo fosse un monte, invece si tratta di un pianoro di magica bellezza, verdissimo e circondato da alte montagne. Comincia una pioggia leggera, ma la meta è vicina ….. il rifugio Città di Arona ci accoglie e ci sentiamo subito riconfortati perché asciutti, al caldo e rifocillati. Pomeriggio libero, però finisce che stiamo tutti insieme a vagare sotto una pioggerellina fine e circumnavighiamo il pianoro e visitiamo il Lago delle Streghe, i Marmittoni dei Giganti, la Balma. La cena fila liscia e gradevole, qualcuno vuole giocare a "tappo" ma pochi aderiscono all'invito e..., dopo alcuni giri, smorzati gli entusiasmi, si va tutti a nanna cullati da un ritmato e robusto tamburellio sul tetto.   La meraviglia che ci coglie la mattina è pari alla sorpresa:    il cielo è azzurro e terso e vapori bianchi salgono dalla terra al cielo. Ci buttiamo sul sentiero che conduce all'Alpe Devero... ma è impossibile camminare senza fermarsi a guardare le meraviglie che ci circondano: larici imperlati di mille gocce che brillano alla luce dei raggi del sole ancora basso all'orizzonte, forme fantastiche che sorgono ovunque intorno a noi.     Rocce, alberi, prati ed un torrente bianco . Procediamo nel nostro cammino, i paesaggi cambiano, qualche nube appare, minacciosa. Sosta per il pranzo alla "Scatta d'Orogna”. Il cielo ormai è tutto coperto, noi però ab­biamo avuto la nostra visione d'insieme del paesaggio,  dolce e severo allo stesso tempo.  La discesa all'Alpe Devero (altro pianoro) è lunga ma bellissima. Mirtilli, rododendri, torrentelli e prati ed anche pietraie, pietraie dalle più svariate origini e tipologie. Pietre brillanti e opache, argentee, bianche, rosate, verdastre, nere, ed anche cristalli di rocca! Ricomincia a piovere dolcemente ed io mi scopro a canticchiare, come quando t'assale una quieta felicità..... . assurdo? Al rifugio Castiglioni arriviamo verso le tre del pomeriggio, c'è chi si ferma qui, chi imperterrito sceglie di fare un giro in paese: piove. Domenica mattina è deciso, non potremo completare il nostro programma, Igor ci ha procurato un pulmino che viene a prelevarci nelle vicinanze: sotto l'acqua ripartiamo, alle undici siamo alle auto. L'aqua-trek è finito. Mi rendo conto che quando parlo di queste gite molti pensano chè io sia ed appartenga ad un gruppo di amici un po' strani, ma chi mi leggerà mi capisce.

E' stato bellissimo!!

                                                                              Angiola (Duchessa)

                                                                                  

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