2008 nr.2

 

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Friuli mon amour............ e quant'altro

Come si poteva facilmente prevedere anche questa volta il nostro Grande Organizzatore ha dato superba prova di sè conducendoci alla scoperta di una nuova parte della sua splendida regione natale di cui, a poco a poco, ci sentiamo un po' cittadini, come se fosse un po' anche la nostra.

Elementi essenziali per la riuscita:

1)        pianificazione certosina (nulla è stato trascurato, anzi persino il colore delle fioriture dei campi di colza, lungo l'autostrada, di un giallo squillante, ha sostituito il rosso vermiglio dei papaveri dell'anno scorso, così da variare anche il paesaggio).

2)      base logistica: Grado, ormai sede distaccata, primaverile, dei Montagnin presso l'albergo Tognon i cui menù hanno abbondantemente compensato l'essenziale austerità delle stanze.

3) confort di viaggio: basta il nome: Giulio, ovvero il "nostro" miglior autista (qualcuno ha proposto di nominarlo Montagnin " sul campo " anzi, " sul pullman ").

" Troppo grande e ricca, perfino per un doge ". Così disse Napoleone di Villa Manin a Passariano e l'impressione che se ne riceve dà ragione al generale. Già dall'ingresso, dominato da due alti torrioni, si percepisce la grandiosità della dimora la cui imponente facciata è preceduta da un'ampia area prativa circondata da due esedre semicircolari che, quasi come il colonnato di S. Pietro cui ci si ispirò per la loro costruzione, conducono alla piazza antistante la villa, a sua volta delimitata dalla caratteristiche "barchesse". Visitiamo la cappella che è contemporaneamente chiesa gentilizia e chiesa del paese: ha, infatti, un ingresso sul perimetro esterno della costruzione ed uno, privato, per i Manin, dalla barchessa di sinistra da cui si accede anche alle scuderie, che ospitano il Museo delle carrozze, e al Museo delle armi dove sono collocati preziosi esemplari dal 500 all800: lance, alabarde, armature e ... quant'altro, come intercala, ogni tre parole, la simpatica guida. E poi l'immenso parco retrostante l'edificio, lussureggiante, con magnifici, altissimi alberi di molteplici specie, collinette, viali ombreggiati. All'epoca del suo massimo splendore doveva essere veramente un "luogo di delizie" ispirato, si dice, al mitico parco di Versailles.Grado ci accoglie con le sue barche e i pescherecci pigramente attraccati nel suo caratteristico porto canale. La luce del tardo pomeriggio crea riflessi ondulati sull'acqua stagnante. Ci ritroviamo tutti a cena; il Nostro ci stupisce con un inaspettato, ma graditissimo, effetto speciale: una grande, magnifica torta decorata dallo stemma dei Montagnin; che sorpresa! Siamo quasi commossi: non potevamo iniziare in modo migliore il nostro soggiorno. Con Maria Rosa e tutti gli amici tagliamo la torta e brindiamo, come augurio per tutti noi e per il nostro ottantesimo. Viva i Montagnin! Poi tutti a osservare le stelle, che porta bene. Il mattino dopo, infatti, il cielo è grigio e minaccia pioggia ma non ci lasciamo certo scoraggiare.
A Marano Lagunare, caratteristico paese di pescatori, ci imbarchiamo sulla motonave Nuova Saturno per la navigazione della laguna. Il capitano Adriano è un simpaticissimo animale da palcoscenico; il suo teatro è questa magnifica laguna che offre scenari unici, che sanno di tempo antico e dove il tempo sembra essersi fermato. Adriano ci racconta storie di pesca con le tecniche relative, di come si viveva una volta in questi luoghi; ci indica i vari tipi di volatili che abitano queste zone umide: scorgiamo anche cigni di mare intenti alla cova. Poi appaiono i "casoni", tipiche costruzioni di queste parti: i pescatori vi si rifugiavano durante i lunghi periodi di pesca. Oggi sono stati perfettamente restaurati e fungono quasi tutti da seconde case, un "buen retiro" per il week end. In uno di questi ci fermiamo per  pranzare, o, meglio, per finire il pranzo visto che già sul battello abbiamo abbondantemente assaggiato tipiche specialità della cucina locale. Poi Adriano ci recita alcune poesie e con un simpatico "collega" suona e canta per noi. Il cielo plumbeo sembra scendere direttamente nell'acqua opalescente; le canne color ocra creano una linea dorata ai bordi dei canali. "Per le spiagge , per le rive di Trieste suona e chiama di San Giusto la campana ". Quante volte abbiamo cantato queste parole; quante volte ho immaginato " le ragazze di Trieste". Ora posso toccarle, le campane di San Giusto! Sono proprio qui sul campanile da dove si vede quasi tutta la città. Bellissima la cattedrale il cui aspetto attuale è il risultato dell'unificazione di edifici trecenteschi a loro volta eretti su precedenti strutture paleocristiane sorte sulle rovine di un preesistente edificio romano. D'altra parte, a pochi metri da qui, ci sono i resti della basilica romana e più in basso, alla base del colle, il grandioso teatro romano. Ci rechiamo poi, come in un mesto pellegrinaggio, alla tristemente famosa Risiera di San Saba, luogo di morte, tortura, atrocità. Un silenzio spettrale regna su tutto; è difficile parlare; l'emozione e la commozione sono palpabili. Il pensiero si inchina reverente alla memoria delle vittime. Visitiamo nel pomeriggio la città vecchia partendo dalla scenografica piazza dell'Unità d'Italia dopo aver quasi toccato il mare dalla punta del molo Audace. L'aspetto è quello di una città mitteleuropea: impronta asburgica, crogiuolo di stili. Spiccano il palazzo del comune, quello delle Assicurazioni Generali. Passeggiamo pigramente davanti al teatro, alla Galleria e lungo il Canal Grande; visitiamo le chiese ortodosse e il ghetto ebraico. Arriviamo a Grado giusto in tempo per festeggiare l'anniversario di matrimonio di Nicolina e Umberto Gragnani, momento irrinunciabile dei nostri viaggi primaverili. L'ultimo giorno lo passiamo a Cittadella, splendido esempio di città murata. Per entrare all'interno dell'abitato percorriamo un buon tratto di strada al di là del fossato che circonda le mura quasi completamente intatte, se si esclude un  tratto distrutto nel '500 da una cannonata sparata durante la guerra di Cambrai. Queste mura furono edificate nel 1220 con la tecnica della "muratura a cassetta" che consiste nel costruire due murature parallele e riempire lo spazio tra di esse compreso con ciotoli e calce per uno spessore di circa due metri. Su di esse, alte dai quattordici a sedici metri, uno spettacolare cammino di ronda ci accompagna per quasi tutto il perimetro così che possiamo osservare dall'alto case, tetti, chiese tutti disposti ordinatamente su assi ortogonali. Poi visitiamo la cittadina: interessantissimi il palazzo pretorio, la casa del capitano, il teatro sociale tutt'ora attivo. Pranziamo in un ristorantino subito a ridosso della porta Bassano. Poi, troppo velocemente, ci ritroviamo a casa, con una valigia piena di bellissimi ricordi. Ci è piaciuto tutto; moltissimo la giornata in laguna e Cittadella, così come passeggiare nel parco di villa Manin o guardare Trieste con gli occhi di Umberto Saba appoggiati al suo bastone da passeggio. Chissà cosa ci preparerà il nostro Grande Organizzatore per il prossimo anno: città, musei, ville, torte e   quant' altro.

Vedremo. Grazie, Igor.

                                                    Elisa

  

Da Braies a Neustift

Storie da un trekking

Noi, del gruppo della settimana verde di S.Vigilio, arriviamo al lago di Braies in anticipo all'appuntamento con gli altri Montagnin che arrivavano direttamente da Genova. Così mentre aspettiamo facciamo un giretto intorno al lago. E' pieno di macchine e di gente, si capisce subito che siamo in un luogo di villeggiatura. Sta a vedere che sarà una cosetta leggera, tutta da godere, con un bel sole e tanta allegria. Poi arrivano gli altri, con Igor che c'e l'ha con me perchè col telefonino gli ho dato il numero sbagliato di posteggio. Mangiamo in fretta un panino mentre il cielo rannuvola e vengono due gocce. Foto di gruppo dal lago e via in ordine sparso lungo lo stradello della riva. Si formano dei gruppetti, con una staffetta di tre malandrini che si invola appena il sentiero inizia a salire. Ed il sentiero si innalza per un tratto lunghissimo, prima lungo il canalone di un torrente, poi nel bosco, quindi con saliscendi sino.al passo sotto la Croda del Becco. Mi siedo dalla Madonnina, aspetto Fabrizio che giù in basso smoccola che vuole tornare alle spiagge di Pathong ed intanto mi guardo intorno: in fondo, sulla sinistra le Dolomiti di Sesto con il Bric dei Toni e le tre Cime. Diritto d'innanzi, nel blu del meriggio, i monti di Cortina, il Cristallo, l'Antelao, il Pelmo; sulla destra l'altopiano di Fanes e Sennes; all'estremo orizzonte, dove il sole muore tra le nubi ormai aperte e ròsse le Conturines con l'inconfondibile Sasso della Croce. Arriva Fabry, si guarda intorno e senza più lamentarsi scatta fotografie. Una ripida e veloce discesa sino al Rif. Biella. Mi sistemo aiutato da Angelo che fa da maggiordomo. Poi arrivano gli altri con Igor e tutte le donne. La Paola ha una caviglia disastrata. Domani al Rif. Sennes si dovrà fermare. Tutti sono sistemati. Il rifugio è vecchiotto e non molto moderno, ma a me piace ancora di più! Ai raggi dell'ultimo sole, seduti intorno ad un tavolo tre giovani, Rudy, Fabrizio ed una ragazza. Mi avvicino, fa decisamente freddo ed aumenterà ancora. I ragazzi parlano tra loro. La ragazza è molto più giovane, avrà una ventina d'anni, la metà dei loro. Lei porta un foulard colorato che le racchiude i capelli lunghi e neri, come neri e vivacissimi i suoi occhi, ed una bella bocca dai denti bianchissimi che sorride spesso. Così scopro che sta facendo quasi lo stesso trekking che facciamo noi. E' partita stamattina dal Ponte Alto di Cortina ed è arrivata al Biella attraverso l'Alpe di Fosses.Come noi. Domani andrà a dormire al Sennes, via Pederù. Come noi. L'ultimo giorno salirà alla forcella Lagazuoi per andare lungo la Tofana di Rozes sino al Rif. Dibona. Dormirà lì e poi attraverso un sentierino di guerra tornerà a riprendere l'auto al Ponte Alto. Non c'è che dire, proprio un bel giro. "Con chi sei, dove è il tuo gruppo?" "Sono sola, faccio un trek in solitaria, per riflettere, per pensare:" Lo dice con aria serena, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Ci guardiamo. Angelo è stupito, io ammirato, Igor beve la sua birra in silenzio. "Ma non hai paura, di farti male, di fare qualche brutto incontro?" Lei risponde di no e ti guarda con gli occhioni neri, un sorriso disarmante, e stuzzica la penna sulle pagine del diario che stava scrivendo prima che l'angosciassimo con le nostre ansie. Restiamo in silenzio e lei chiude il diario e si mette a leggere un libretto che cava da una tasca della giacca a vento. Fine dei discorsi, è come se ci avesse congedati. Ci tratteniamo ancora un poco. Il tramonto si fa di fuoco. Vado in camera a prendere la fotocamera. Scatto un bel po' di foto alle rocce arrossate. La ragazza è ancora là seduta che legge, ed è rimasta sola. Mi avvicino e le chiedo come si chiama, raccontando qualche cosa sul nostro Gruppo. Mi risponde interessata con il suo accento veneto; dice di essere vicentina ma che vive e studia a Padova. "Mi chiamo Irene" Resto a bocca aperta. La potenza evocativa di quel nome mi colpisce come una frustata. Lo so che è un caso, che non c'entra niente, ma sono molto turbato. " Il tuo nome è bellissimo" dico " deriva dal greco e significa pace" Nei suoi occhi scorgo gli stessi occhi e nel suo sorriso lo stesso sorriso di quell'altra Irene che avevo conosciuto 45 anni prima in un luogo a pochi km in linea-d'aria da qui. " Lo so"- risponde- Era il nome di mia nonna, che era nata subito dopo la Grande Guerra e l'hanno chiamata così in segno di buon augurio." Non potevo continuare quella conversazione, ero troppo colpito, poi lei si vedeva che voleva restare da sola, per leggere il suo libro, per pensare a cose sue. Abbiamo rivisto quella ragazza coraggiosa la sera dopo al Rif. Fannes intenta a leggere il suo libro. L'indomani poi ci siamo salutati alla Malga di Fanes Grande, dove le nostre strade si dividevano. Ciao Irene, buona fortuna per tutta la tua vita, che sarà bellissima, per te e per quel fortunato ragazzo che incontrerai. Abbi sempre buoni sentieri, anche se sei fortissima! Mi perdonerete questa divagazione un po' personale ed un po' patetica, ma forse mi potrete capire. Di altri fatti rimarchevoli il nostro trek ne annovererà ancora. Andiamo per ordine con un po' di cronaca: la salita alla Croda del Becco di 4 Montagnin coraggiosi, la fermata di Paola al Rif. Sennes, la discesa ripidissima ed interminabile sino al Rif. Pederù, la tranquilla risalita sino al Rif. Fanes, il percorso facile e interessante. Alcune complicazioni per le camere al rifugio si sono risolte grazie alla fermezza del nostro presidente e la notte e la mattinata successiva sono senza acuti. Il terzo giorno la lunga discesa attraverso il parco delle Dolomiti di Cortina con i mugugni di Igor che "non valeva la pena di scendere tanto per vedere una cascata". Per la verità la discesa è senza fine, ma i Montagnin se la prendono comoda e quando arriviamo alla cascata è quasi mezzogiorno. Seguirà un lungo giro nel bosco ed un'interminabile serie di tornanti per arrivare a Ra Stua. Il gruppo si ricompatta. Breve sosta per un panino, poi riprendiamo la strada per l'Alpe di Fosses, nel primo pomeriggio. La salita dura, lunga da morire sotto un sole implacabile, sgrana nuovamente il gruppo. Io salgo con Gianna e Nadia, lentamente per non morire. Giunti all'Alpe di Fosses, di colpo e senza preavviso, il paesaggio diviene da dolomitico a irlandese! Due laghetti azzurri incastonati in un alternarsi di prati verdissimi, separati da muretti a secco, a volte naturali, a volte artificiali. Qua e là numerose greggi di pecore, un gruppo di asini che pascolano in un recinto, uno chalet in legno e pietra con tanto di canna fumaria sul retro della casa. Sulla veranda una figuretta sottile, che saluta e risulta, nel controluce del sole giallastro, essere una gran bella figliola, dalle movenze aggraziate. Angelo e Rudi diranno poi che si sono fermati a parlare con la "pastorella" e che questa ha offerto loro un bicchiere di latte. Con fatica passiamo oltre e ricomincia la salita. Crediamo di essere in vista del Biella, ma ci aspetta ancora una buona ora di salita. Arriviamo verso le 19, col sole che inizia a nascondersi fra i picchi. Fabrizio arriverà verso le 20 con Silvestro ed Elisa. Grazie per averlo raccattato: per il mal di piedi si era tolto gli scarponi e aveva risalito l'ultimo tratto a piedi scalzi. La serata al Biella è molto rilassata e divertente: domani si tornerà a Braies. La signora che gestisce il rifugio ci offre una grappa prima di dormire e ci regala le cartoline del vecchio rifugio. Noi lasciamo un ricordo dei Montagnin e dell'80°. La mattina non fa più tanto freddo quanto due giorni prima. Igor raccoglie tonnellate di achillea moscata per annegarla a Bargagli in qualche damigiana di grappa. La discesa è senza storia, anche se lunga e scoscesa attraverso un ripido ghiaione. Angelo fotografa ciuffi di stelle alpine e Silvestro sale su tutte le alture che incontra a fare l'indiano, scrutando nel vento e facendosi fotografare. Angelo salta di ghiaione in ghiaione per immortalare il gruppo che lentamente scivola verso valle. Io penso a Lello ed alle sue vertigini! Stamani è partito prima di noi: chissà se si sarà c.... sotto. Giunti al piano, al bivio per il lago, io con Fabrizio e Rudi torniamo immediatamente alle auto per andare a Neustift in Austria, al ritiro del Genoa. Gli altri si fermano a mangiare ed in serata saranno a Caviola per fare le Cime d'Auta. Ma anche questa è un'altra storia.

                                                        G.Franco Robba

                                                                                                                                  

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